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Catalogo 2011 (PDF)

Autori

Achille Bonito Oliva

TIGRE, FIGURA DELL'ARTE

La figura è il punto focale dell’arte, detiene la centralità del linguaggio, in quanto è portatrice dell’intenzione e del desiderio di potenza dell’immaginario. Tale desiderio si traveste mediante abbigliamenti vari, indossa i panni della circostanza legata alla necessità espressiva. Dunque le figure dell’arte sono svariate e cangianti, adottano molti materiali e tecniche diverse per presentarsi sotto lo sguardo dello spettatore. In ogni caso sono portatrici di seduzione ed abbaglio. Perché l’arte non trattiene il suo linguaggio sul piano della comunicazione comune, non parla attraverso maschere che appartengono al quotidiano, bensì assume sempre stati di forma originali e imprevedibili. La seduzione nasce dal bisogno di creare un varco ed un lampo nel pratico inerte del quotidiano, uno stupore che lacera l’orizzontale impermeabilità attraversante lo scambio sociale. La figura è l’assunzione eccentrica di una appartenenza particolare che regge la pulsione dell’arte.

Questo fonda il suo particolare erotismo, il desiderio di costituirsi un’arma che riesca a sconfiggere la volgarità contemplativa dell’uomo, gettato in un universo retto da un sistema di ben altre figure che non fingono, anzi dichiarano il bisogno di un consumo portato verso la grande immagine dell’economia. L’arte paventa un’altra economia, sostenuta dall’immaginario che svolge una funzione erompente, quella di bloccare nella sosta lunga dello stupore, nella posa stupefatta della contemplazione, l’occhio esterno dello spettatore.

Nell’opera di Dario Serra la figura serve proprio a marcare questa soglia, il solco naturale che separa l’apparizione dell’arte da altre apparizioni. La qualità specifica, la sua connotazione, risiede nel suo essere esplicitamente apparenza. Un’apparenza che indossa continuamente diverse figure, particolari travestimenti, che inducono lo sguardo a rimanere sbarrato e attraversato da un lampo silenzioso. La sua forza risiede nel suo presentarsi senza sforzo, nello sfarzo di un abbigliamento che non denuncia mai difficoltà semmai un naturale abbandono: l’immagine della tigre.

L’arte è un aspetto della ricerca
della grazia da parte dell’uomo: la
sua estasi a volte, quando in parte
riesce; la sua rabbia e agonia;
quando a volte fallisce.

G.Bateson

L’estasi prende innanzitutto l’artista, quello stato particolare e necessario affinché egli possa portare il travestimento dell’immagine nella condizione dell’ epifania.

Allora anche l’occhio esterno, quello contemplatore, è attraversato da uno stato estatico che lo mette nella possibilità di una nuova informazione sul mondo

La figura della tigre è portatrice dunque da una parte di uno scompenso tra la propria immagine e quelle esterne ad essa, dall’altra produce successivamente, dopo l’esibizione della propria differenza, uno stato di integrazione attraverso l’estasi che modifica la relazione dell’uomo con la realtà. L’arte possiede una sua interna natura correttiva che la porta a correggere il gesto prorompente della sua apparizione iniziale e a stabilire un rapporto socializzante nel momento della sua contemplazione.

La tigre è il tramite di questa correzione di rotta, il sintomo di una particolare inclinazione, quella di operare tra bisogno della catastrofe e la “saggezza sistemica”, tra la produzione di una rottura e la spinta a destinarla al corpo sociale. Esiste una inerzia iniziale contro cui l’arte si arma, una “serenità” della comunicazione che essa tende ad alterare mediante l’introduzione di uno stato di “turbolenza”. La figura è lo strumento di allargamento tra le due strozzature, tra le due polarità che costruiscono il rapporto di comunicazione.

La turbolenza è data dalla epifania dell’immagine che rompe le aspettative ed introduce mediante l’irruzione di un linguaggio piegato a esigenze di particolare espressività un elemento allarmante. La tigre dunque è il perturbante, ciò che determina il segnale di un allarme che attraversa tutto il linguaggio e l’immaginario sociale. Nello stesso tempo il desiderio di profonda relazione con il mondo prende il sopravvento nell’arte, sostenuta da una saggezza sistemica che tende a spingerla verso una correzione della rottura iniziale, a riparare alla radicale e solitaria violenza dell’immaginario individuale.

La tigre serve a produrre un cuneo, un varco, tra la serenità della comunicazione sociale e la turbolenza del gesto artistico, in maniera da favorire un’apparizione che trovi ammirazione e non incomprensione o paura. Il travestimento che la figura assume può passare attraverso varie maschere che alcune volte incutono anche timore e terrore. Ma il fine è sempre quello di introdurre un’attesa, una sospensione di difese del gusto, che permettano poi la grande entrata nel mondo sotto occhi attenti e ammirati, pronti a cogliere la differenza.

L’arte di Serra non sopporta l’indifferenza, la distrazione di uno sguardo che si pone in una condizione inerte. Perciò la figura della tigre introduce sempre la bellezza, come dice Leon Battista Alberti, èuna forma di difesa.

Difesa dall’inerzia del quotidiano e dalla possibilità di scacco da parte di sguardi indifferenti che non restano abbagliati alla sua apparizione abbacinante. La sorpresa, la proverbiale eccentricità dell’arte, sono i movimenti tattici di una strategia rivolta a consolidare la differenza dell’immagine artistica dalle altre immagini.

Io domando all’arte di farmi
sfuggire dalla società degli uomini
per introdurmi in un’altra società.

C. Lévi-Strauss

Questo non è un desiderio di evasione, non è un tentativo di sfuggire la realtà, bensì il tentativo di introdursi in un altro spazio, di allargare un varco che normalmente sembra precluso. L’arte corregge la vista corta ed introduce una guardatanon più frontale ma lunga e differenziata. Così può aggirare l’invalicabile frontalità delle cose e anche prenderle alle spalle.

Serra opera per aprire tali varchi, per spostare la vista verso un incurvamento che significa anche possibilità di affondo, oltre che di aggiramento. L’arte è la pratica di questo movimento attraverso il movimento in questo caso della figura della tigre che costituisce l’arsenale tattico attraverso cui Serra esercita il suo rapporto col mondo. Un rapporto certamente mosso da pulsioni ambivalenti, da desideri che lo portano verso uno stato d’animo all’incrocio di oscillazioni sentimentali e emotive che ne costituiscono l’identità e la probabilità esistenziale.

Sei tu fra quelli che guardano
o quelli che mettono le mani
in pasta?

F. Nietzsche

A questa domanda l’artista, Serra, risponde affermativamente, nel senso di esibire le mani in pasta, calde di lavoro, indispensabili per la messa in opera di quelle macchine della rappresentazione che fondano la presenza dell’arte. Naturalmente la costruzione non avviene in maniera lineare, può comportare anche momenti oscuri e cancellazioni.

La macchina della rappresentazione, la tigre, è costituita da molte parti, alcune sfuggono all’attenzione stessa dell’artista che si trova spesso nelle condizioni di dover accettare elementi e segni indipendenti dalla sua volontà e dal suo controllo, emergenti per una sorta di crescita spontanea che può prendere alle spalle l’artista stesso. La figura è il risultato di una concitazione creativa che attraversa il campo fantastico dell’artista e lo mette nella condizione di poterne divenire il tramite.

La tigre è l’esempio splendente di una nostalgia, quella dell’unitàche spesso l’artista stesso non vuole raggiungere. L’unità è una sorta di procedimento obbligato, la finzione assunta dal processo creativo per mettersi in movimento e tendere in tal modo verso una meta. L’arte adotta l’astuzia biologica di crearsi un’intenzionalità per meglio distendersi nella sua azione.

In realtà adotta il modello demiurgico della creazione mediante cui sembra svolgere un progetto consapevole ed uniforme.

Il fingere alcune cose ovvero
aggiungere alcune altre e
frammentare alcune di propria
invenzione, è degno di lode.

G. Comanini

La figura della tigre è l’effetto di questa manipolazione, di un lavoro che procede a balzi attraverso l’incontro di vari elementi e condizioni progettati dalla gestualità progettata dall’artista.

Un’estasi dinamica è lo stato che consente a Serra di amalgamare in velocità e portare a compimento la figura della tigre, il cuore espressivo dell’opera.

Dallo stupore nasce la possibilità di non fare resistenze, di accettare tra le mani elementi e frammenti che provengono da recessi luminosi ed oscuri. La tecnica è intanto per Serra la condizione di abbandono indispensabile per sopportare l’apparizione della figura che compare agli occhi dell’artista stesso mediante la combinazione e la simultaneità tra velocità esecutiva ed automazione.

La figura della tigre non è mai ripetibile, perché non è ripetibile il movimento che porta alla sua definizione. È possibile riconoscere la cifra che accompagna i suoi travestimenti, ma soltanto per indicare la fonte da cui proviene il suo passaggio. Serra può aggiungere un margine di espressione, una partecipazione tecnica utile alla definizione dell’immagine, ma non può supplire e riempire da solo con la sola perizia lo spazio che intercorre tra i vari frammenti che costituiscono l’opera.

I frammenti costituiscono le tracce che allontanano il principio di unità costitutivo e nello stesso tempo lo alludono. L’artista dunque non è il terminale di partenza ma il terminale di transito di una figura che trova il proprio fondamento in un altrove. Esiste una paradossale metafisica della tigre, malgrado l’uso di una tecnica che finge di essere automatica, che non lascia transitare oltre un certo confine la conoscenza che al massimo può stazionare nell’ambito del potere dello sguardo di scorrere sulla superficie liscia delle figure. Qui l’occhio assedia l’immagine della tigre, ne corteggia le fattezze, ma senza potere entrare in contatto col movimento interiore che ne ha fondato la presenza.

La verità dell’arte è la figura intesa come presenza lampante e irrefutabile, tangibilmente ostentata allo sguardo esternoed anche a quello interno dell’artista. La tigre dunque non è l’effetto di una perizia soltanto mentale, di un sapere razionale e trasmissibile all’infinito ma è il risultato di una catena di gesti. Serra non può trasmettere conoscenze sul modo che lo ha portato alla figura, perché questa è la conoscenza di fattori accertabili ed altri imponderabili. Il non sapere gli permette di mettere la sua tecnica in condizione di non fare resistenza, di accogliere con naturalezza l’elaborazione che porta al risultato. L’affermazione dell’opera non soltanto l’affermazione dell’artista, è l’ulteriore spostamento verso l’immagine, la tigre, in cui si perde la memoria del lavoro effettuato.

La perdita della memoria coincide con la perdita della consapevolezza, della proverbiale lucidità che accompagna l’uomo comune e le sue azioni. Per questo l’azione creativa è irripetibile, in quanto affidata ad una tensione che, nel suo esprimersi, perde la memoria del suo prodursi.

Ora la presenza della tigre riempie tutta la scena della contemplazione, oscura la richiesta di ogni motivazione, perché non esiste un tempo fuori dalla fascinazione dell’opera, fuori dall’abbaglio procurato dall’apparizione della turbolenza.

La tigre è sempre il segno di un movimento precedente, perché come dice Nietzsche, il movimento è il movimento di un movimento interiore così come il pensiero è il segno del pensiero. Dunque è l’unica possibilità dell’arte di produrre il movimento della propria turbolenza, il tramite che la materializza e fonda lo stato della sua evidenza inoppugnabile.

Attraverso questa presenza e a partire da questa presenza imprescindibile è possibile accedere al momento dell’estasi, all’impatto estatico con l’opera.

I simulacri della figura, la sequenza sempre differenziata di tigri, fondano l’esistenza dell’arte, producono la sfuggente identità dell’artista che ha accettato di farsi tramite con quel movimento interiore che altrimenti resterebbe precluso allo sguardo del mondo. All’artista spetta il compito di questa mediazione, attraverso il suo tenere le mani dentro la pittura che non significa certamente riduzione ad un puro lavoro esecutivo, ma attivazione di un processo di condensazione e di abbreviazione che porta poi all’elaborazione finale della figura. A partire da una superficie dipinta interamente d’oro, Serra interviene in velocità sulla tavola in un duello che oscilla tra il controllo e l’azzardo prima che il colore si rapprenda. Nel tempo in cui il nero è ancora fresco l’artista gioca con estrema abilità con innumerevoli tecniche e strumenti, dal pennello alle mani, dalla spugna al graffito, in modo da ricavare dal fondo un’immagine che emerge velocemente dalla monocroma compattezza del fondo.

La tigre è sempre l’effetto di una sfida, di un risultato misurabile soltanto alla fine, che non può essere corretto a distanza. La figura in questo caso è veramente felina, nel senso che appare in velocità sotto i colpi dell’artista che fisicamente la estrae dalla dura compattezza levigata dell’oro. La velocità esecutiva fonda la vitalità di un immagine che si afferma sempre in maniera differente.

Ora Serra lascia viaggiare le sue figure, la sua tigre, fuori da qualsiasi interrogazione circa la sua provenienza o direzione, secondo derive di piacere anche esecutivo, che ristabiliscono alla fine in ogni caso il primato dell’intensità dell’opera su quello della pura tecnica. Perché l’artista è artefice di un’immagine compiuta secondo un intreccio di figurazione e decorazione che la rendono preziosa e animale, diurna e notturna, comica e terrificante, felina e antropomorfica, in ogni caso frontale e simmetrica all’uomo.